Nei giorni immediatamente successivi all’8 settembre 1943, la Wehrmacht disarmò complessivamente, 1.006.730 militari italiani: 518.022 in territorio metropolitano, 58.722 nella Francia sudorientale, 492.986 nell’insieme dei Balcani.
Al 10 dicembre successivo circa 725.000 di loro sarebbero stati detenuti, con la qualifica di Internati Militari Italiani (IMI), nei campi di prigionia militare della Wehrmacht (Stalag e Oflag). I 281.730 mancanti in parte erano stati rilasciati dopo il disarmo dalle unità tedesche (prassi utilizzata dal comando tedesco più che altro nel Norditalia), in parte, circa 94.000, di cui 49.000 dislocati nei Balcani, avevano accettato di continuare a combattere a fianco dell’ormai ex alleato germanico prestando servizio nella Wehrmacht o entrando nella Waffen SS (pressoché 20.000 questi ultimi). Manca un’indagine precisa su di loro, si sa solo che circa 20.000 aderenti provenivano dai ranghi dei battaglioni delle Camicie Nere (cioè dalla MVSN), presumibilmente perciò più politicizzati in senso fascista della media.
L’incapsulamento dei reparti italiani attuato dalle grandi unità tedesche specificatamente nei Balcani, quadro militarmente cruciale, a partire dai mesi precedenti l’uscita dell’Italia dalla guerra aveva reso di fatto impossibile alle Regie Forze Armate resistere nell’area con qualche speranza di successo, anche quando i loro comandi fossero stati orientati in tal senso. Chi non cadde perciò in mano tedesca aveva come unica scelta il cercare di unirsi alle forze partigiane jugoslave, albanesi e greche.
Dei circa 305.000 militari stanziati all’epoca in territorio jugoslavo poco più di un decimo (tra 30 .000 e 40.000) avrebbero collaborato con la Resistenza jugoslava, non senza ovviamente tensioni e diffidenze da entrambe le parti. Ci si era del resto aspramente combattuti sino a pochi giorni prima!
Per coloro i quali, la maggioranza dei membri delle Regie Forze Armate, sarebbero passati dall’occupazione delle terre jugoslave e dalla controguerriglia alla prigionia in condizioni spesso assai dure negli Stalag e negli Oflag tedeschi, la doppia esperienza di invasore prima, detenuto dopo avrebbe rappresentato un vissuto non facile da elaborare: se per molti avrebbe prevalso l’identificarsi come vittima di qualcun altro (i “tedeschi”), mettendo la sordina al tempo in cui le vittime erano altri (i civili “slavi”), altri avrebbero invece cercato di fare seriamente i conti con l’una e l’altra faccia della propria esperienza bellica, simbolo in fondo del ruolo contraddittorio svolto dall’Italia nella Seconda guerra mondiale.
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