La mancanza di una “Norimberga italiana” contro i responsabili dei crimini di guerra in Jugoslavia ha permesso il consolidarsi nella memoria pubblica dell’immagine benevola e autoassolutoria del “bravo italiano”, il soldato bonario, contrario alla guerra, istintivamente portato ad aiutare i civili, a dare il pane alle popolazioni affamate e a salvare gli ebrei braccati dai feroci “camerati” tedeschi.
Una parte della realtà, questa, ma solo una parte, utilizzata come un comodo alibi per non fare i conti con le “pagine sporche” dell’occupazione italiana. Sul piano giudiziario un ultimo, tardivo e infruttuoso tentativo di resa dei conti è stato condotto nel 2008 quando il giudice Sergio Dini ha chiesto alla magistratura militare di riaprire i processi contro i criminali di guerra italiani, non più ostacolati dall’art. 165 del codice penale miliare di guerra nel frattempo abolito.
Il procuratore militare Antonino Intelisano ha aperto un’inchiesta contro ignoti ma, dopo aver riscontrato che tutte le persone inscritte nella lista della commissione Gasparotto erano decedute, l’ha chiusa nell’ottobre 2010 non emergendo “spunti investigativi” per procedere ad ulteriori accertamenti.
Le vittime jugoslave dei crimini italiani sono rimaste ancora una volta prive di giustizia.
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